Presentazione libro “Storie di ordinaria umanità” – Velletri – Magazzini teatrali 23 ottobre 2022

Si terrà il prossimo 23 ottobre, la presentazione del nuovo libro di Stefano Giorgi – STORIE DI ORDINARIA UMANITA’ – Racconti Brevi, edito per i tipi della CCLC LR NETWORK, presso i Magazzini Teatrali di Velletri (ex Teatro di terra) in Via San Crispino, 18 alle ore 17,30, con l’introduzione di Patrizia Audino.

Nell’occasione della presentazione della nuova novità editoriale, Patrizia Grande esporrà alcuni dei suoi quadri.

Dalla prefazione del libro di Emilio Magliano

Stefano Giorgi e lo scavo dell’io

Esistono storie d’ordinaria follia e storie di ordinaria quotidianità. Storie di tutti i giorni dove ciascuno di noi può incespicare. Storie che incontrano noi, che ci vengono incontro piuttosto che essere noi ad andare incontro a loro. Sono quelle storie dove l’humanitas incontra la pietas, dove i destini si incrociano o dove ciascuno, nella sua solitudine, incontra il proprio destino. Questa umanità siamo noi, è il nostro “singolo” il nostro ego inteso non come ambizione ma semplicemente come il “noi stessi” che con le sue inquietudini o monotonie incontra – e a volte si scontra – con il “chi siamo” e il “chi avremmo voluto essere” o il “ciò che siamo stati”.

E’ difficile non riconoscersi in almeno uno dei racconti – che sono novelle metropolitane o comunque novelle moderne – nella raccolta di racconti di Stefano Giorgi (19 racconti, quasi 200 pagine), scrittore veliterno, medico in pensione che ha già pubblicato con successo altri saggi, romanzi e lavori teatrali; racconti dal titolo “Storie di ordinaria umanità”, una raccolta di lavori brevi intrisi di personaggi “normali” alle prese, per casi più o meno fortuiti della loro vita, con domande cruciali ed inattese. Perché, – ci suggerisce l’autore tra le righe – c’è sempre un momento in cui siamo costretti a porci delle domande, a provare a darci delle risposte, o a comprendere, nel giro di un attimo, l’incontro con un estraneo, o con un amico o con la propria morte, ciò che per una vita non si era compreso. Se vi attendete da questi racconti grandi rivelazioni, resterete delusi, ma se vi attendete uno scavo del proprio “io”, un lavorio dentro di sé, che stimoli il lettore a dire –magari richiudendo per un momento il volume e gli occhi – “è vero, è proprio così”, allora fate in modo di leggere questo ultimo lavoro di Stefano Giorgi, scrittore raffinato dallo stile pacato e lineare, mai impulsivo o nevrotico, ma sempre severo nell’affondare il bisturi nella nostra psiche.

L’armamentario della raccolta di racconti, attraversa e assorbe da tutti i sentimenti di cui siamo capaci: la paura, l’amore, la solitudine, la riconoscenza, la pace ed il conflitto interiore, la ricerca della felicità e la ricerca di ciò che non si sa; il tormento interiore e l’oblio dei sensi ed ancora, il piacere dell’amicizia e la libertà vissuta e soprattutto cercata, in termini sartriani, come necessità. Ritroviamo tracce dell’esistenzialismo, ad esempio, in due episodi, “Libero, senza fissa dimora”, nel quale il protagonista decide di condurre una vita da barbone e “Giovannino e poi Giovanni”, cui il Nostro – morta la madre della quale era succube e recidendo quel cordone ombelicale che da Giovannino lo trasforma in Giovanni – si misura con le sue scelte di vita e con il tema del libero arbitrio. Appunto, come dice il filosofo francese: “io sono la libertà, niente di più, niente di meno”. Ma J.P.S. aggiunge anche: “sono responsabile di qualunque cosa faccia, consapevolezza che dà le vertigini e che suscita angoscia”. In che modo i nostri personaggi risolveranno “l’ambiguità” di queste scelte e come si misureranno con i “limiti della loro condizione, sarà il lettore a scoprirlo.

Ricordi e presente si incrociano, si alternano, si contrastano appunto come la sequenza della nostra quotidianità. Senza azzardarci in voli pindarici che farebbero un torto all’autore e alla sua intelligenza, ma Giorgi ci fa vivere in formato microcosmico quel diario della coscienza in 24 ore che è nel capolavoro di Joice, L’”Ulisse”. Qui c’è la coscienza intesa come mutamento degli stati d’animo e delle situazioni che scandiscono i racconti, ciascuno autonomo dall’altro. Ma dentro ogni racconto si evoca, seppure da lontano come toni echeggianti il “flusso della coscienza”, la velocità dei pensieri, anche se l’autore la rappresenta con una grammatica e una sintassi che non rinnega la punteggiatura e ne consente le pause, cosa che, come è noto, non appartiene a Joice. Non ci sta la scansione del tempo che è la potenza dell’”Ulisse” ma ci sta la presa d’atto dell’individuo di fronte ad “un fatto che non si aspettava” e che invece è successo, e le sue reazioni emotive. Insistiamo: è un testo sobrio senza colpi di scena ma con tanti colpi di vita, di risvegli dal torpore di un’esistenza che molti dei protagonisti ritenevano già scontata ma così non era.

Il contesto è quello del mondo con le sue violenze storiche e presenti, epiche e squallide, come il fenomeno del bullismo. Un capitolo merita, insieme a tanti altri, ma questo in modo particolare, estrema attenzione, almeno così è stato per me: il primo, dove il protagonista, colto in solitudine, viene raggiunto da un infarto e incontra la morte. Diceva il filosofo Epicuro: “l’uomo non deve temere la morte, perché quando noi ci siamo la morte non c’è e quando essa sopraggiunge noi non ci siamo più. Noi e la morte siamo destinati a non incontrarci mai”. In questo racconto, nel cuore della sofferenza e non solo con la sofferenza al cuore, il personaggio ripercorre la sua vita, accarezza la sua sensibilità e dell’umano sentire, e chi scrive riesce a fondere, – ad un alto livello di scrittura – leggerezza e drammaticità, senza precipitare in toni epici da tragedia greca ma immedesimandosi in quello che siamo: semplici umani che sentono la morte avvicinarsi. Ecco la frase finale: “Si guardò allora intorno ed ogni cosa lentamente svaniva nelle sue abituali sensazioni, lasciandolo in uno stato indefinibile… era morto. Ma se era morto, perché si rendeva conto di tutto quello? Chissà…”. E in questi tre puntini di sospensione non c’è un finale ma un prosieguo: il mistero della fine, che poi è il mistero della vita.

Buona lettura!

 

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